Fine dello smart working, ecco l’etichetta del rientro in ufficio

La pandemia pare stia mollando la presa e, dopo due anni di lavoro tira-molla, fra presenza in sede e smart-working, nei prossimi mesi si assisterà a un massiccio ritorno negli uffici. Si tratta di un passaggio importante, anche se per molti sarà in modalità ibrida, perchè ritornare a una uova normalità non è facile. E, soprattutto, in tanti ci siamo abituati anche alla comodità delle nostre mura domestiche, tra le quali possiamo comportarci come meglio crediamo. Ecco, è arrivato il tempo di cambiare, sia off sia on line, per quanto riguarda le modalità e soprattutto i comportamenti da tenere sul posto di lavoro: siamo pronti?

Cose da sapere

Gli esperti hr di InfoJobs, la piattaforma leader in Italia per la ricerca di lavoro online, hanno stilato un piccolo galateo del rientro in ufficio, con poche e semplici indicazioni per “ri-abituarci” a vivere in un contesto lavorativo non più confinato fra le mura domestiche, ma che non può prescindere dalla coesistenza con la dimensione online. Innanzitutto, riporta Adnkronos, se la la modalità di lavoro è ibrida, servono pianificazione, flessibilità e rispetto delle esigenze di tutti. L’organizzazione del lavoro, soprattutto di team, dovrà necessariamente conciliare le esigenze di chi lavora da remoto e di chi è presente in ufficio, pianificando con attenzione orari e spazi e utilizzando al massimo le opportunità della tecnologia, con un approccio flessibile alla gestione dei contrattempi, piccoli e grandi, che possono inevitabilmente presentarsi. In seconda battuta, bisogna adottare in ufficio un outfit corretto: anche se bisogna lasciare a casa tute e pigiami, ciò che conta è la produttività e il raggiungimento degli obiettivi, l’outfit da ufficio rimane ciò che cattura lo sguardo al primo impatto. In una recente indagine di InfoJobs, il 69% degli intervistati ha dichiarato che il modo di vestire non incide sulla produttività, mentre per il 31% l’aspetto curato motiva maggiormente ad affrontare la giornata lavorativa. 

Rispetto per se stessi e per gli altri 

Altre regole del galateo da applicare riguardano il rispetto, in senso lato. Innanzitutto, occorre rispettare l’orario di lavoro. Per ciò che concerne l’organizzazione in ufficio, vanno considerati il più possibile gli orari “standard”. Se si tratta di un’eccezione o di una emergenza, si può anche sforare, ma meglio attenersi alle ore canoniche. Ancora, bisogna tenere a mente che la propria postazione di lavoro non è un’isola. Occhi quindi al tono della voce: ci sono colleghi (e capi) ed è preferibile adottare un tono di voce adeguato, per non disturbare ma anche per mantenere riservate le proprie conversazioni. Stesso discorso per chi parla dall’altra parte dello schermo: le cuffie in ufficio non sono un optional ma la base del rispetto. Per stare insieme, poi, pause caffè o pranzi, sempre nel rispetto delle regole della nuova normalità, sono momenti preziosi di confronto con i colleghi. Permettono di esplorare la persona, oltre il professionista, di creare legami che possono poi sfociare in amicizie, ma anche di risolvere a quattr’occhi dubbi e problemi di lavoro. Privacy: la postazione di lavoro non è la scrivania di casa. Meglio far attenzione a non lasciare oggetti personali, documenti riservati o pc attivi, soprattutto in open space o scrivanie in condivisione. I dati sensibili sono tali per una ragione.

Sapersi comportare

Uno dei vantaggi dello smart-working è la possibilità di sfogarsi da momenti di stress in libertà a telecamere spente. In ufficio non è così, non ci si può celare dietro una telecamera non attiva; occorre quindi mantenere sempre un atteggiamento professionale e mostrare il disappunto in modo adeguato al contesto, senza eccessi, ma anche senza ipocrisie. Attenzione agli sguardi troppo rivelatori. Un altro vantaggio dello smart-working è la flessibilità, che per alcuni si traduce nella possibilità di gestire con più agio gli impegni propri e della famiglia. Con il rientro in ufficio o con il lavoro ibrido è necessaria una maggiore e migliore organizzazione per bilanciare lavoro e vita privata. Infine, il consiglio più importante:  il lavoro è sì impegno, ma anche passione. Divertirsi in quello che si fa è fondamentale per il successo.

Etichette alimentari: il 90% dei consumatori le guarda abitualmente

Un segno tangibile di un cambiamento culturale e di uno stile di vita più sano: guardare l’etichetta prima dell’acquisto. Un’abitudine consolidata per il 90% dei consumatori italiani, soprattutto per scoprire la data di scadenza dei prodotti (75%), provenienza geografica (61%) e assenza di prodotti ‘dannosi’ per la salute (47%). È quanto emerge da una ricerca di Banco Fresco, la catena food presente in Lombardia e Piemonte. Tra le etichette più ‘convincenti’, la ricerca segnala quelle con le diciture ‘senza antibiotici’ (59%), ‘senza conservanti’ (53%), seguite da ‘senza zuccheri’ e ‘senza polifosfati’, entrambe al 29%.

La salute viene prima della dieta

La salute, dunque, viene prima della dieta. Basti pensare che il 52% dei consumatori individua negli additivi le sostanze ritenute più dannose, più del sale (12%), dello zucchero (12%) e dei grassi in generale (11%). Secondo l’indagine, risulta alto anche il livello di preparazione circa il sistema di etichettatura. Quello attuale è ritenuto abbastanza chiaro dal 78% del campione, anche se ci sono ancora lacune da colmare, come la conoscenza del significato corretto della dicitura ‘Consumare entro…’, che solo un terzo dei consumatori ha dimostrato avere ben chiaro, riferisce Ansa.

Tanta l’attenzione al Made in Italy

Gli italiani, quindi, sono sempre più attenti alla propria salute, e non solo dal punto di vista dell’alimentazione, ma anche da quello sportivo. Il 64% fa infatti sport abitualmente o saltuariamente, e il 92% prova a seguire una dieta abbastanza sana ed equilibrata. E questo si vede anche dalle abitudini di acquisto durante la spesa, dato che la maggior parte degli italiani (62%), come primo fattore guarda l’etichetta e i relativi ingredienti dei prodotti, perché il ‘contenuto’ supera il valore del marchio, nonché le attività di promozione e scontistica. Tanta, poi, anche l’attenzione al Made in Italy e all’indicazione geografica dei cibi (DOP, DOC, DOCG, IGP), che per l’81% costituisce un elemento determinante al momento dell’acquisto.

Attenti a evitare gli sprechi

Solo un quarto del campione però non è a conoscenza della regola secondo cui gli ingredienti sono elencati dal più al meno presente, ma più della metà sa esattamente quali sono gli elementi obbligatori per legge che devono figurare su tutte le etichette alimentari (ingredienti, scadenza, presenza di allergeni, quantità netta, valori nutrizionali, provenienza geografica).  Ma il consumatore italiano è anche attento a evitare gli sprechi. La ricerca di Banco Fresco rivela che giunti alla data di scadenza, prima di buttare via i prodotti, i consumatori nel 60% dei casi controllano che le proprietà organolettiche non siano variate, e quindi, se possibile, preferiscono consumare l’alimento.
D’altronde gli italiani sono già abituati a controllare da soli la bontà dei prodotti. Nel 94% dei casi quando si tratta di frutta e verdura la preferenza ricade sui prodotti ‘sfusi’.

Milano, il lavoro non è più rosa

Sotto la Madonnina l’occupazione recupera solo nella componente maschile, mentre quella femminile segna il passo. A sottolineare questa differenza nel mercato del lavoro, che evidenzia un ulteriore ampliamento del gender gap a sfavore delle donne, è l’analisi realizzata dal Centro Studi di Assolombarda e pubblicata su Your Next Milano la piattaforma che ospita le analisi su Milano e gli asset su cui ripensare lo sviluppo della città.

Dopo la pandemia, c’è ancora terreno da recuperare

Si evidenzia, infatti, un aumento rispetto al 2020, ma i 6 mila occupati in più dell’anno risultano del tutto insufficienti a colmare i -48 mila registrati nel 2020 con l’avvento della pandemia. Il conto è assai più negativo rispetto alle stime fatte lo scorso anno, in quanto l’Istat ora esclude dal computo degli occupati i cassintegrati da più di tre mesi. Differenziando tra componente femminile e maschile, il quadro annuo emerge particolarmente negativo per le donne: nel 2021 i posti di lavoro a Milano crescono esclusivamente per la componente maschile (+11 mila occupati), mentre quella femminile si riduce (-5 mila occupate). Quindi, se per il 2020 l’occupazione femminile a Milano aveva mostrato una diminuzione minore rispetto a quella maschile, in controtendenza rispetto alla tendenza nazionale e grazie alla più elevata concentrazione in lavori a maggior contenuto professionale e in settori come la sanità, nel 2021 il quadro si inverte.

L’andamento dei macrosettori

L’occupazione al femminile a Milano cede nell’ultimo anno per effetto del contrapposto andamento dei macrosettori sul territorio: gli unici che creano posti di lavoro sono le costruzioni e, in parte, commercio, alberghi e ristorazione. Sono soprattutto gli uomini a beneficiarne da un lato perché l’edilizia, il settore con l’aumento più consistente, utilizza una forza lavoro prevalentemente maschile, dall’altro perché l’occupazione femminile si concentra maggiormente tra i lavoratori dipendenti, che a Milano registrano un calo (-3 mila) mentre risalgono gli indipendenti (+10 mila). Tirando le somme dell’ultimo biennio, a fine 2021 sono ancora -42 mila gli occupati totali nella città metropolitana rispetto al 2019 (pari al -2,8%), somma di -23 mila donne (in calo di ben il -3,3%) e -19 mila uomini (-2,3%). Nel 2021 le donne occupate a Milano diminuiscono di -5 mila unità e rispetto al 2019 sono ancora 23 mila in meno  -5000 11000 Al contrario, nel 2021 crescono di +11 mila gli occupati uomini (comunque ancora -19 mila rispetto al 2019).

Mercato Immobiliare, analisi congiunturale e prospettive

Il mercato immobiliare italiano nel 2021 registra un incremento del 34% delle compravendite in ambito residenziale rispetto al 2020, ma la follia bellica rischia di ridimensionare un quadro altrimenti positivo. È prematuro azzardare ipotesi sulle conseguenze immobiliari della crisi ucraina, quello che è certo è il temporaneo deterioramento del clima generale di fiducia.  Superata brillantemente la tempesta Covid-19, il mercato immobiliare italiano si trova ora ad affrontare le conseguenze di un’altra sciagura. E il binomio costituito da una domanda di acquisto esuberante e una politica creditizia espansiva, che aveva consentito al settore residenziale di superare l’ondata pandemica, potrebbe uscire ammaccato dall’impatto con la vicenda bellica. È quanto emerge dal 1° Rapporto sul Mercato Immobiliare 2022 di Nomisma.

Nel 2021 effettuate quasi 798.000 transazioni

“Al 31 dicembre 2021 sono state effettuate poco meno di 798.000 transazioni, il 94% delle quali per abitazioni. Si tratta di dati non dissimili a quelli del periodo 2006/2007, nel pieno della fase ascendente del ciclo precedente”, commenta Luca Dondi, AD Nomisma. Il mantenimento di questi straordinari livelli transattivi, che fino a febbraio sembrava lo scenario più verosimile, appare oggi una prospettiva ottimistica. A beneficiarne sono stati tutti i contesti territoriali, con un’accentuazione più marcata nelle localizzazioni periferiche e di provincia. Di certo, la pandemia ha prodotto una rottura rispetto al passato nelle preferenze che orientano la domanda immobiliare, favorendo uno spostamento verso localizzazioni periferiche, purché facilmente accessibili ai servizi e al mercato del lavoro.

L’inversione della curva dei prezzi

“L’esuberanza dell’attività transattiva del segmento residenziale ha restituito vitalità anche al mercato delle unità immobiliari d’impresa – aggiunge Dondi -. Il perdurante eccesso di offerta su questo versante non ha, tuttavia, consentito un’inversione di tendenza anche sul fronte dei prezzi, che hanno proseguito, seppure con un’intensità più contenuta, la parabola discendente inaugurata già da molti anni”.
L’inversione della curva dei prezzi, seppur lenta, appare generalizzata indipendentemente dal rango dei mercati urbani, venendo alimentata, oltre che dalla pressione della domanda, dalla pressione inflattiva in atto. La variazione annuale dei prezzi delle abitazioni usate, che in Italia rappresentano il 75% del mercato delle compravendite residenziali, si è attestata quindi all’1,2%, con un campo di variazione che va dal +3,2% di Modena al -1,1% di Salerno.

La domanda di abitazioni si è spostata verso l’acquisto

La domanda di abitazioni, che negli anni pre-Covid tendeva a ripartirsi equamente tra acquisto e locazione, nel periodo pandemico si è spostata verso l’acquisto. Il consuntivo annuale rappresentato dall’indice di performance residenziale del mercato delle compravendite ha registrato un nuovo aumento dopo l’interruzione del 2020 e dei primi mesi del 2021. Nel 2022 la domanda di acquisto si attesta al 56,3% contro il 43,7% della domanda di locazione, che tuttavia recupera 2,5% punti percentuale rispetto al 2021. È dunque prevedibile, che alla luce della tendenza registrata nei primi mesi del 2022, si assista a un progressivo riallineamento delle quote per effetto di un aumento della domanda di locazione.

Lavoro, nel 2021 oltre 450.000 offerte pubblicate: +29% 

Il 2021 sembra chiudersi positivamente per il mercato del lavoro. Nonostante un panorama economico-sociale che in due anni ha visto l’avvicendarsi di situazioni critiche come conseguenza dell’emergenza sanitaria, cresce il numero di offerte di lavoro. Nei dodici mesi del 2021 sono infatti oltre 450.000 le offerte di lavoro pubblicate dalle aziende italiane sulla piattaforma per la ricerca di lavoro online InfoJobs. Un dato che corrisponde al +29% anno su anno. L’incremento è generalizzato in tutta Italia, e nessuna regione ha registrato flessioni negative rispetto al 2020.

Facilitare l’incontro tra aziende e oltre 6,5 milioni di candidati

L’Osservatorio sul Mercato del Lavoro 2021 di InfoJobs, analizzando le offerte di lavoro pubblicate sulla piattaforma e le ricerche attive da parte delle aziende, conferma quanto già evidenziato nel primo semestre dell’anno 2021. 
“Vogliamo interpretare questo risultato come l’espressione di capacità, caparbietà e intraprendenza sia da parte delle aziende che da parte dei candidati, che mai hanno smesso di credere nella ripresa del mercato del lavoro – commenta Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs -. Pur entrando in un 2022 che si preannuncia ancora difficile e soprattutto incerto, permane il nostro compito di facilitare l’incontro tra aziende e candidati, che sono oltre 6,5 milioni, mettendo la nostra expertise digitale al servizio dei bisogni del Paese reale”.

Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto sul podio

In cima alla classifica delle regioni che spiccano per offerte di lavoro si conferma per il quinto anno consecutivo la Lombardia, con il 31,5% del totale nazionale delle offerte pubblicate dalle aziende su InfoJobs. Al secondo posto si posiziona l’Emilia-Romagna (17,2%), al terzo posto il Veneto (14,2%), seguito dal Piemonte al quarto posto (9%), e al quinto la Toscana (6%).  Quanto alle province, le evidenze di InfoJobs riconfermano al primo posto della classifica Milano come provincia più attiva, nella quale si concentra il 12,2% delle offerte.

Province più dinamiche rispetto al 2020

Nelle posizioni a seguire, la classifica presenta un leggero dinamismo rispetto al 2020, con province a pari merito. Roma e Torino sono entrambe al secondo posto con il 4,6% delle offerte, Bergamo e Bologna, che sale di una posizione rispetto al 2020, insieme al terzo posto con il 4,2%, mentre al quarto posto Brescia (4,1%), e ancora un pari merito in chiusura della top 5 con l’ingresso di Verona e Modena (3,2%). Il rinnovamento del mercato del lavoro impatta anche altre province. Nella top 10 spiccano per un ingente incremento in termini di offerte rispetto all’anno precedente Firenze, al nono posto, con il +27%, e Reggio Emilia, al decimo posto, che nel 2021 registra un +55%.

Giovani e acqua, un’abbinata vincente per la vita

Idratarsi correttamente, bevendo l’adeguata quantità d’acqua, è un lasciapassare per una vita lunga e in salute. Ma è ancora più importante durante la fase della crescita, come sottolinea la dottoressa Elisabetta Bernardi, biologa specialista in Scienza dell’Alimentazione e membro dell’Osservatorio Sanpellegrino. In particolare, l’acqua è amica dei ragazzi: proprio l’idratazione è essenziale per il mantenimento fisico e cognitivo dei giovani. L’acqua è un elemento essenziale per la vita e fondamentale per tutte le funzioni del corpo umano, composto per la maggior parte proprio da liquidi. Come riporta l’Ansa,  è necessario quindi imparare a mantenersi adeguatamente idratati durante la crescita per favorire il corretto sviluppo delle capacità fisiche e mentali evitando di incorrere in uno stato di disidratazione. Questa condizione, specialmente negli adolescenti, è in grado di compromettere le normali funzioni vitali e il loro processo di crescita.

Quanto bere?

Uno studio riportato su Annals of Nutrition & Metabolism riferisce che la quantità di liquidi nel corpo in età adulta è pari al 50-60% della massa corporea, livello che si consegue progressivamente con la pubertà. Fino a quando non raggiungono questo equilibrio, i ragazzi perdono giornalmente più acqua di quanta ne consumano: per questo motivo hanno un fabbisogno idrico maggiore per unità di peso. Educare gli adolescenti a idratarsi correttamente, può quindi aiutarli a bilanciare la graduale diminuzione di acqua nel loro corpo. Il fabbisogno di liquidi, quindi,  cambia a seconda dell’età delle persone, ma è soprattutto durante la crescita che una giusta assunzione di acqua può facilitare lo sviluppo dei processi fisici e neurologici dell’individuo. I livelli di assunzione quotidiana di liquidi raccomandati dall’EFSA sono di 1.900 ml al giorno per le ragazze e 2.100 ml al giorno per i ragazzi di età compresa tra 9 e 13 anni. Tuttavia, secondo uno studio condotto negli Stati Uniti, solo il 15% dei giovani in questa fascia d’età consuma il corretto quantitativo di acqua ogni giorno. Questo dato è stato confermato anche da studi condotti in Europa.

Oltre all’acqua, conta l’alimentazione

Per favorire un livello di idratazione corporea equilibrato non basta solo bere tanto, ma è necessario anche seguire una corretta alimentazione. Cibi ad alto contenuto di acqua come frutta e ortaggi possono ottimizzare l’idratazione corporea. Bere sufficienti quantità di acqua e assumere questo tipo di alimenti con costanza può aiutare ad evitare il presentarsi di problematiche legate alla disidratazione, ad esempio, alla salute renale e metabolica, o al verificarsi di disturbi cognitivi e dell’umore, sia nel presente che nel futuro. Giovani che non bevono abbastanza diventano adulti che non bevono abbastanza: è quindi fondamentale il contributo educativo da parte di persone che appartengono non solo al contesto familiare ma anche a quello scolastico, dove l’acqua può aiutare nelle attività di apprendimento, e in quello sportivo, ambito in cui questo elemento è di primaria importanza.

Il petfood cresce nel carrello della spesa e segue i trend emergenti del mercato

l petfood cresce nel carrello della spesa degli italiani e segue i trend emergenti del mercato. Di fatto, il menu di cani e gatti è sempre più simile a quello dei loro proprietari, soprattutto come valori-guida e tendenze. Si tratta di un mercato che vale 767 milioni di euro di sell-out, generati da 3.461 prodotti che nell’arco del 2020 hanno registrato un aumento di +1,2% delle vendite complessive tra supermercati e ipermercati.  Sono alcuni risultati del dossier dedicato all’alimentazione felina e canina contenuto nella decima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy. Secondo l’Osservatorio il paniere più consistente, per numero di referenze e per valore delle vendite, è quello dei prodotti arricchiti: complessivamente il ‘rich-in’ supera i 453 milioni di euro di vendite (59,1% del totale nutrizione cane e gatto) e mostra una crescita annua di +1,0% del sell-out.

Il paniere rich-in e quello free form

Tra i nove i claim individuati sulle etichette dei 1.774 prodotti arricchiti emergono ‘vitamine’, ‘Omega 3-6’ e ‘proteine’. Si contraggono invece le vendite di alimenti con ‘carne/pesce fresco’ (-12,6%), pur restando ancora molto diffusi (353 prodotti, 10,2% di quota). Hanno invece superato i 435 milioni di euro (+2,8% annuo) le vendite dei 1.557 prodotti che rientrano nel paniere free from. Tra i cinque i claim rilevati sulle etichette il più diffuso e importante per giro d’affari è ‘senza coloranti’, mentre quello a maggior crescita annua è ‘grain free/low grain’ (+21,4% in termini di vendite).

Il valore dell’italianità diventa determinante per le scelte d’acquisto

Ma il vero fenomeno nel petfood è l’affermazione dell’italianità dei prodotti come valore determinante per le scelte d’acquisto in supermercati e ipermercati italiani.
“Anche nella nutrizione di cani e gatti cresce l’importanza dei prodotti che indicano la loro italianità in etichetta – commenta Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy -. Le 486 referenze inserite in questo paniere dall’Osservatorio Immagino hanno aumentato le vendite di +17,7% in un anno, sfiorando i 56 milioni di euro di sell-out in ipermercati e supermercati italiani”.
Quattro i claim e i pittogrammi individuati: la bandiera italiana è il più usato, mentre l’indicazione ‘Prodotto in Italia/Made in Italy’ è il più dinamico, con vendite in crescita di +36,7% nell’arco dei 12 mesi.

La sostenibilità entra nell’alimentazione di cani e gatti

L’Osservatorio Immagino ha evidenziato la presenza e il ruolo della sostenibilità nel mondo del petfood, e sulle etichette dei prodotti destinati alla nutrizione di cani e gatti ha individuato 13 tra claim e certificazioni green attribuendoli a tre panieri tematici.
Il principale, per numero di referenze e valore delle vendite, è quello che riunisce 762 prodotti che dichiarano di essere stati ottenuti nel rispetto degli animali: copre il 16,7% di tutte le referenze monitorate e supera i 135 milioni di euro di sell-out.
Il secondo comprende 661 prodotti provenienti da allevamenti e agricoltura sostenibili, che hanno realizzato oltre 134 milioni di euro (-0,9%), mentre il terzo è quello del management sostenibile delle risorse, che conta 173 prodotti per 33,7 milioni di euro di giro d’affari (+21,4%).

Un italiano su due pensa che le donne siano limitate al lavoro

Per gli italiani le donne hanno dei limiti quando si parla di accesso alle professioni e al mondo del lavoro. Tanto che una donna su quattro crede che carriera lavorativa, leadership politica, guadagno da lavoro siano ‘naturalmente’ a maggiore appannaggio degli uomini. Colpa della loro scarsa forza, resistenza e capacità fisica: lo pensa il 46.9% degli italiani (il 43% tra le donne), o del loro carattere (27.9%). Ecco perché la parità di genere è ancora un miraggio per la metà degli italiani (49,8%), non solo sul lavoro. Si tratta di alcuni dati emersi dall’indagine Inclusion, condotta da AstraRicerche per Gilead Sciences, su un campione rappresentativo della popolazione italiana.

Gender gap più forte per carriera, leadership e guadagno

Dall’indagine emerge in particolare come gli ambiti in cui le differenze di genere sono più forti riguardano la carriera lavorativa, tanto nella possibilità di ricoprire ruoli ‘alti’, quanto nella leadership politica e amministrativa, e nel guadagno da lavoro.
A pensarlo sono soprattutto le donne (67%), ma la percezione degli uomini non è poi così diversa (56%). E ancora, oltre un italiano su 5 pensa che se in una coppia eterosessuale entrambi lavorano è giusto che l’uomo abbia maggiore opportunità di crescita professionale/lavorativa.
Non solo, la stessa percentuale sostiene che ‘le bambine che amano giocare con i giochi tipici dei bambini’ (robot, costruzioni ecc.) e i bambini che amano quelli ‘tipici’ delle bambine (bambole, mini-cucina giocattolo ecc.) cresceranno con confusione nella loro mente sui ruoli di donne e uomini.

L’impegno di Gilead a favore della parità di genere

In continuità con il suo impegno a favore della parità di genere e dell’inclusione Gilead riconosce il valore dei progetti di ricerca indipendenti di ricercatrici e ricercatori italiani grazie al Fellowship Program, bando di concorso che premia la ricerca scientifica che migliora la qualità di vita dei pazienti, gli esiti della malattia o favorisce il raggiungimento di obiettivi di salute pubblica nell’area delle malattie infettive e oncoematologiche, giunto quest’anno alla sua undicesima edizione.
Nel corso dei primi 10 anni attraverso il Bando sono stati erogati quasi 9 milioni di euro per la realizzazione di oltre 360 progetti a cui ha partecipato la comunità scientifica italiana, senza distinzione di genere. Il Bando ha visto infatti un’ampia partecipazione femminile, a cui si deve poco meno del 50% dei progetti presentati e di quelli finanziati.

Un Premio dedicato ai temi Inclusion&Diversity

Con la nuova edizione dei Bandi Gilead, in partenza il 28 febbraio, viene confermata per il secondo anno consecutivo l’erogazione di un Premio speciale dedicato alle tematiche di Inclusion&Diversity. Quest’anno, riferisce Adnkronos, il premio è rivolto a sottogruppi di popolazione culturalmente minoritari e discriminati all’interno della loro comunità di appartenenza, o a gruppi sociali che siano penalizzati, oltre che dalla condizione socioeconomica, anche dall’isolamento e dallo scarso interesse da parte del terzo settore.

Nel 2021 in Italia torna a crescere il turismo online 

Nonostante tutte le difficoltà legate alla situazione pandemica, nel 2021 il mercato italiano del Travel (online + offline) è cresciuto sia nella componente ricettiva (9,5 miliardi di euro, +73% sul 2020 e vicina ai 10,3 miliardi del 2019) che in quella dei trasporti (8,5 miliardi, +33% sul 2020 ma ancora lontana dai 18 miliardi pre-Covid). In questo scenario anche le transazioni digitali hanno dimostrato una netta ripresa, raggiungendo gli 11,1 miliardi di euro (+55% sul 2020), nonostante il valore complessivo segni ancora un -32% rispetto al 2019. Sono queste alcune delle evidenze emerse dall’ottava edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano.

Strutture ricettive, spinta verso il digitale

Sono soprattutto le strutture ricettive che si spingono sempre più verso il mondo digitale. La ricerca evidenzia che oggi circa l’88% delle strutture ricettive italiane utilizza almeno uno strumento digitale per la gestione dei processi, anche se ci sono livelli diversi di adozione e l’ambito extra-alberghiero sconti ancora un maggiore ritardo. I primi processi a essere digitalizzati sono quelli legati alla distribuzione con l’adozione di Booking Engine, sistemi di pagamento digitale e Channel Manager, cui si aggiungono i Property Management System, ormai in uso nel 63% delle strutture. Seguono i sistemi di analisi dei dati e Revenue Management per impostare strategie di prezzo differenziate. Gli attori più evoluti si concentrano su strumenti per la gestione della relazione con i clienti e sulla marketing automation.

Sostenibilità, neverending tourism e flessibilità sono i principali trend

La sostenibilità è un tema sempre più sentito e condiviso. Tanto che nel 2021, il 94% delle strutture ha messo in atto azioni per aumentare la sostenibilità, come l’utilizzo di materiali, prodotti e fonti di energia sostenibili o la riduzione degli sprechi. Insieme a questa tendenza cresce anche quella legata all’esperienza anche prima e dopo il viaggio vero e proprio: il 7% delle strutture offre la possibilità di arricchire la visita e la conoscenza della destinazione attraverso attività da svolgere online, arricchendo la propria value proposition per offrire una neverending experience, ovvero un’estensione dell’esperienza turistica, sia fisica sia digitale, nello spazio (non solo in destinazione) e nel tempo (non solo durante, ma anche prima e dopo l’esperienza stessa di viaggio). Sempre in quest’ottica ben il 77% degli operatori si è attrezzato per ospitare lavoratori in smart working, offrendo per esempio postazioni da lavoro in camera (48%) o schermi per video-conferenze (43%). 

Infine, per offrire valore esperienziale in tutte le fasi del viaggio e rispondere alle esigenze di maggiore flessibilità dei turisti, molte strutture ricettive sono al lavoro per offrire l’opzione di cancellazione gratuita e di copertura assicurativa completa (sempre più richieste per via della maggiore incertezza legata al viaggio). Il 20% delle strutture ha inoltre abilitato il servizio “Buy Now-Pay Later” e la possibilità di rateizzare il pagamento.

Mascherine e tamponi: quanto costano agli italiani?

Oggi le mascherine chirurgiche possono essere reperite nei negozi online e in quelli fisici a un prezzo medio di 0,20 euro al pezzo. Tuttavia, questo tipo di mascherine non è più sufficiente, poiché per accedere ai mezzi di trasporto, come bus, metro e treni, ed entrare nei locali pubblici è necessario dotarsi di mascherina Ffp2. Nelle farmacie le Ffp2 sono vendute al prezzo calmierato di 0,75 euro, ma nei negozi e sul web hanno prezzi variabili, che vanno da 0,40 centesimi a 2,50 euro al pezzo. Dotarsi di mascherine Ffp2 e sottoporsi regolarmente ai tamponi anti-Covid rappresenta un ‘salasso’ per le famiglie, e può arrivare a costare fino a 4.824 euro all’anno per un nucleo famigliare di 4 persone.

I prezzi dei tamponi molecolari sono variabili 

La denuncia arriva da Consumerismo No Profit, l’associazione dei consumatori che ha redatto uno studio per capire in che modo l’attuale emergenza sanitaria ‘pesi’ sulle tasche degli italiani.  Per quanto riguarda i tamponi, i prezzi variano a seconda del tipo di test a cui ci si sottopone. Il test sierologico ha un costo compreso tra i 20 e i 30 euro, il tampone rapido viene eseguito dalle farmacie al costo fisso di 15 euro, mentre per il tampone molecolare i listini oscillano tra i 60 e i 140 euro, a seconda delle tempistiche per ottenere l’esito, e della regione di residenza. Al nord Italia costano infatti sensibilmente di più rispetto al sud.

La pandemia costa 1.200 euro all’anno

Considerando i prezzi medi delle mascherine, ogni singolo cittadino, stima Consumerismo, “spende circa 300 euro all’anno tra mascherine chirurgiche e Ffp2, cui si aggiungono 75 euro di spesa mensile per i tamponi, ipotizzando un tampone rapido e uno molecolare al mese, per una spesa totale di 1.200 euro annui”. Una famiglia di 3 persone, per le stesse voci di spesa e ipotizzando gli stessi consumi, deve affrontare perciò un costo pari a 3.618 euro annui, riporta Adnkronos.

Una spesa che può arrivare fino a 4.824 euro annui a famiglia

Spesa che può arrivare a 4.824 euro annui in caso di un nucleo familiare composto da 4 persone, che spende per tutta la famiglia 1.224 euro annui per le mascherine, e 3.600 euro per i tamponi.
“Un vero salasso – commenta il presidente di Consumerismo Luigi Gabriele -. Chiediamo che il costo di mascherine e tamponi sia totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale per le famiglie con Isee fino a 20 mila euro. Oltre tale soglia, chiediamo la deducibilità di tali spese almeno al 50%”.