Poco sonno la notte? Il rischio è di essere cyber-maleducati al mattino

Concedersi un sonno ristoratore durante la notte è importante per stare bene, si sa, e per iniziare la giornata con la carica giusta e il buonumore. Non dormire abbastanza ore, o avere un sonno di cattiva qualità, può causare una serie di effetti spiacevoli il mattino seguente, tra i quali occhiaie, mal di testa e soprattutto ridotta capacità di concentrazione. Fin qui, niente di nuovo: ora però un nuovo studio afferma che non dormire adeguatamente potrebbe renderci brontoloni, e addirittura maleducati, nelle nostre comunicazioni on line, specialmente per quanto riguarda i testi delle mail e dei messaggi.  Lo rivela uno studio condotto dalla West Texas A&M University, pubblicato sulla rivista Sleep Health. L’analisi ha coinvolto 131 adulti che lavorano a tempo pieno che hanno risposto a due sondaggi ogni giorno per due settimane  misurando la durata del sonno, la stanchezza, la capacità di interazione online fino all’inciviltà informatica.

Gli effetti collaterali del dormire male

I questionari sono stati inviati alle 7 della mattina di ogni giorno lavorativo e includevano domande sulle ore di sonno della notte precedente; alle 16, un secondo test chiedeva ai partecipanti quanto si sentivano stanchi e se erano stati scortesi con qualcuno online (e-mail o messaggi). In questa casistica, erano inseriti comportamenti poco carini come ignorare una richiesta di appuntamento o di colloquio oppure fare commenti dispregiativi o sgarbati tramite e-mail. Lo studio ha totalizzato complessivamente 945 questionari mattutini e 843 sondaggi pomeridiani. I ricercatori hanno così riscontrato che una notte di sonno più breve comportava maggiore affaticamento, minore capacità di autoregolamentazione e soprattutto un più alto numero di episodi di inciviltà informatica sul lavoro.

L’autocontrollo? Si conquista col sonno

L’autore principale dello studio Trevor Watkins ha spiegato: “I nostri risultati si basano su ricerche precedenti che suggeriscono che l’autocontrollo viene ripristinato mentre le persone dormono. Dopo una notte di sonno di scarsa qualità, invece, gli individui perdono l’autocontrollo e hanno maggiori probabilità di incappare in episodi di cyber-maleducazione al lavoro il giorno successivo”.
Ha poi aggiunto che “L’inciviltà informatica è definita come ‘comportamento comunicativo esibito in interazioni mediate dal computer che violano le norme sul posto di lavoro di rispetto reciproco’, ovviamente più frequenti in contesti nei quali si utilizza prevalentemente la comunicazione elettronica”.

Addio alle grandi città: 400 lavoratori tornano a casa grazie allo smart working

Ritorno nelle città di origine e addio alle case in affitto, ma anche un miglioramento della qualità della vita e delle finanze personali, tanto da poter pensare a un mutuo. Ecco cosa ha comportato l’introduzione dello smart working, che di fatto ha cambiato la vita a moltissimi lavoratori, specie quelli fuori sede. La possibilità di lavorare a distanza, infatti, ha spinto il 20% degli smart worker a cambiare città. Si tratta di un esercito di 400.000 persone che nell’ultimo anno ha deciso di abbandonare luogo di domicilio: a dirlo è un recentissimo sondaggio commissionato da Facile.it a a mUp Research e Norstat.

Si torna a casa

In questo dinamismo abitativo, non sorprende che il 75% dei 400.000 lavoratori fuori sede abbia deciso di tornare a vivere nel luogo di origine, mentre il 25% ha preferito trasferirsi in un’altra città, diversa sia da quella in cui è nato sia da quella dove ha sede l’azienda per cui lavora. La mobilità assume connotazioni e numeri differenti a seconda delle regioni italiane. Ad esempio, nel Meridione si è visto un rientro di lavoratori in misura maggiore rispetto a quelli che sono usciti: è il caso della Sardegna (+40%), ma anche della Sicilia (+27%) e della Calabria (+21%). Di contro, le regioni con città più popolose da un punto di vista demografico e lavorativo, hanno avuto un bilancio negativo, vale a dire che il numero di smart worker che hanno lasciato la regione è superiore a quello di coloro che vi hanno fatto ritorno: ad esempio Lombardia (-2%), Piemonte (-10%) e Lazio (-20%). Una tendenza emersa dall’indagine svolta per Facile.it è quello dello spostamento dai grandi centri urbani ma non verso le regioni del meridione, bensì verso comuni più piccoli siti all’interno della stessa regione dove ha sede l’azienda per cui è impiegato lo smart worker; fenomeno questo particolarmente evidente in Lombardia e Lazio.

Più finanze e nuovi mutui

Le motivazioni che spingono i lavoratori a traslocare da una città a un’altra città sono diversi, ma la principale leva è sicuramente l’aspetto finanziario. Cambiare città consente infatti di mantenere la propria occupazione e al contempo di migliorare il proprio tenore di vita. Un’altra ragione che motiva il cambiamento è la volontà L’emigrazione dai grandi centri urbani trova conferma anche analizzando l’andamento delle richieste di mutui, esplorato dal recente osservatorio di Facile.it e Mutui.it, che ha messo in evidenza come nel primo semestre 2021 le domande di finanziamento per immobili ubicati in comuni con meno di 250.000 abitanti siano state il 77% del totale, in aumento del 7% rispetto al 2017.

Il livestream shopping è arrivato anche in Italia

Il livestream shopping è il nuovo fenomeno di e-commerce per vendere prodotti direttamente in streaming. Nato in Cina, dove rappresenta l’11,7% delle vendite totali di e-commerce, quest’anno è cresciuto del +85% generando 300 miliardi di dollari. Il fenomeno del livestream shopping, esploso nel 2020 durante la pandemia, dopo la Cina è dilagato anche in America, e ora arriva in Italia. Infatti, proprio per le grandi prospettive di crescita e potenziale, Flyer Tech ha annunciato la nascita nel mercato italiano di Marlene, la nuova piattaforma B2B di livestream shopping. Marlene è una piattaforma interattiva ‘one to many’ rivolta a retailer e proprietari di e-commerce che puntano a connettersi più direttamente con i consumatori attraverso contenuti video in tempo reale.

Una tipologia di e-commerce dal tasso di conversione cinque volte superiore

I video in live streaming sono pensati come show in cui gli streamer, oltre a presentare i prodotti di un e-commerce, rendono l’esperienza d’acquisto dei clienti interattiva. I merchant possono così sfruttare le community di influencer con i quali già collaborano per nutrire la Customer Base e aumentare le vendite. Questa tipologia di shopping garantisce un tasso di conversione cinque volte superiore rispetto alla vendita digitale tradizionale: le stime indicano un +600% di engagement rate, +400% di prodotti aggiunti nel carrello e +669% sulle vendite.

L’effetto gruppo aumenta le vendite

“Con l’emergere della cultura partecipativa, gli utenti delle piattaforme di e-commerce in live streaming hanno formato dei gruppi nei quali i semplici utenti sono diventati veri e propri fan – spiega Marianna Chillau, ceo e co-founder di Marlene e Transactionale, nonché Presidente e fondatrice di 4eCom, Associazione di soluzioni digitali nel mondo dell’e-commerce -. Il cosiddetto ‘effetto gruppo’ fa sì che il live streaming stimoli i consumatori ad acquistare maggiormente rispetto al modo tradizionale”.

Dalla live su Facebook alla shopping experience

E dalla live su Facebook alla shopping experience, Marlene porta direttamente sul sito dell’e-commerce. La piattaforma offre agli e-shop la possibilità di spostare la propria clientela sul sito stesso dello store, obiettivo principale di ogni merchant. Durante le sessioni di live shopping, alle quali possono partecipare migliaia di utenti contemporaneamente, i merchant possono mostrare i prodotti, interagire con la clientela e rispondere ad eventuali domande e curiosità, riporta Adnkronos. “I clienti da Facebook possono andare sul sito dello store e sono così più incentivati ad acquistare – aggiunge la ceo – potendo trovare sull’e-commerce sia i prodotti presentati in diretta streaming sia articoli simili di potenziale interesse per loro”.

Il caffè è amico dell’umore anche nella fase della ripartenza

Con l’allentamento delle restrizioni esplode la voglia di socialità, e con bar e ristoranti nuovamente aperti al pubblico, cresce il desiderio di recuperare i riti personali, la convivialità e le vecchie abitudini. Come, appunto la pausa caffè, un rito quotidiano amato da milioni di italiani. Dopo mesi in cui l’asporto era l’unica modalità consentita, è finalmente possibile tornare a degustare un buon espresso, da soli o in compagnia, anche al bancone, serviti dal proprio barista di fiducia, e riappropriarsi di consuetudini a lungo attese. Una ricerca paneuropea promossa da ISIC (Institute for Scientific Information on Coffee) sottolinea l’importanza del rito del caffè: anche durante il lockdown, un italiano su tre ha recuperato il buon umore sorseggiando la bevanda più amata.

Coltivare il benessere personale

Anche in questa fase di ripartenza, è importante non sottovalutare la necessità di coltivare il nostro benessere personale. La ricerca di ISIC sottolinea il ruolo che i piaceri di ogni giorno, come il caffè, possono avere sull’umore. Nei mesi di restrizioni, anche lontano dai bar, gli italiani non hanno dimenticato il senso di benessere che questa bevanda può regalare: per quasi un italiano su tre (28%), bere qualche tazza di caffè ha aiutato a migliorare l’umore, in particolare ad allontanare la tristezza (37%), ad aumentare la concentrazione (55%) e la prontezza in caso di disturbi del sonno (45%).

Il doppio effetto benefico della pausa con la tazzina

“Anche durante i periodi di restrizione, molti connazionali hanno trovato dei modi per rompere la monotonia e migliorare l’umore svolgendo piccole azioni come fare attività fisica o prendere un caffè – commenta il Professor Giuseppe Grosso, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche della Scuola di Medicina dell’Università di Catania -. La pausa caffè, in particolare, ha un effetto benefico doppio. In primis, il beneficio olistico di prendersi del tempo per rilassarsi, apprezzando il sapore e l’aroma del caffè. Inoltre, è stato dimostrato che il consumo di questa bevanda migliora l’umore, la prontezza e riduce la sensazione di stanchezza grazie all’effetto della caffeina e al ruolo potenziale dei polifenoli del caffè, che contribuiscono a mantenere un cervello in salute e a ridurre alcuni disturbi di carattere neurodegenerativo”.

Un rito quotidiano irrinunciabile

Consumando circa tre tazze al giorno (30%), gli italiani hanno apprezzato il caffè soprattutto a intervalli regolari per spezzare la routine (35%) e nei momenti di relax (33%). Per quasi un italiano su due (44%), il caffè ha rappresentato un rito quotidiano irrinunciabile e il miglior modo per dare inizio alla giornata, mentre il 52% ha dichiarato di aver addirittura aumentato il consumo giornaliero. L’indagine di ISIC inoltre conferma il connubio caffè-sport. Per il 30% dei partecipanti, infatti, bere qualche tazza di caffè durante la giornata ha aiutato a trovare la giusta motivazione per fare esercizio fisico, mentre per il 27% ha migliorato la performance sportiva.

L’impatto del Covid sul Gender Gap nei Paesi del G7

In occasione del vertice del G7 il Women’s Forum for the Economy and Society ha pubblicato i risultati del sondaggio realizzato da Ipsos sul livello del Gender Gap all’interno dei Paesi del G7. Nonostante le misure messe in atto dai Governi gran parte della popolazione dei Paesi del G7 (70%) dichiara di aver provato paura per il futuro dall’inizio della pandemia, e se l’emergenza sanitaria ha avuto un forte impatto sulle condizioni socio-economiche dei cittadini, le donne sono state le più colpite: il 75% di loro riferisce di aver paura del futuro rispetto al 65% degli uomini.

Le italiane hanno vissuto la situazione peggiore

In Italia il 79% dei cittadini dichiara di aver provato paura del futuro, il 76% ha avuto paura di recarsi in ospedale, e il 60% ha provato ansia, depressione o burnout. Inoltre, il 58% ha avuto la sensazione che nessuno li stesse aiutando, e il 66% riporta una diminuzione del proprio potere di acquisto.
Le donne italiane poi hanno vissuto la situazione peggiore, con l’85% che riferisce di avere paura del futuro rispetto al 73% degli uomini, il 59% che ha provato ansia, depressione o burnout (50% uomini), e il 31% che dichiara di soffrire di estrema stanchezza e stress (21% uomini).

La pandemia minaccia il progresso verso la parità di genere

Avere figli ha conseguenze molto diverse per uomini e donne. Il 47% delle donne con almeno un figlio sotto i 18 anni si sente regolarmente esausta rispetto al 34% dei padri, e il gender gap è ancora più elevato con bambini sotto i 6 anni: il 56% delle madri di bambini piccoli si sente sopraffatta, rispetto al 34% dei padri di bambini della stessa età. È evidente come il Covid abbia contribuito a creare significative disuguaglianze tra uomini e donne, minacciando i progressi fatti negli ultimi anni verso una maggiore parità di genere, con conseguenze durature sulla vita e la carriera delle donne.
Molte donne sono state così colpite che dubitano perfino di essere in grado di riprendersi, o prevedono che sarà molto difficile, specialmente le giovani donne e le donne con figli piccoli.

Madri single o con bambini piccoli le più colpite

Inoltre, il 66% delle donne dei Paesi del G7 ritiene che la propria salute fisica sia stata colpita dalla pandemia e il 36% pensa che sarà difficile recuperare.
Questo è anche il caso del 52% delle madri single, del 50% delle madri di bambini con un’età sotto i 6 anni (rispetto al 34% dei padri di bambini della stessa età) e del 42% delle donne a basso reddito (rispetto al 33% degli uomini a basso reddito).
Al contempo, il 74% delle donne afferma che la propria salute mentale sia stata compromessa dall’avvento del Covid-19, e tra loro il 42% pensa che sarà difficile recuperare. Ancor di più per le madri single (59%), le madri di bambini con un’età sotto i 6 anni (52%), e le donne under 35 (51%).

Il 37% degli italiani litiga con i familiari a causa degli aggiornamenti

Gli aggiornamenti dei dispositivi possono influenzare le relazioni tra i familiari: il 37% degli utenti ammette di aver litigato con il resto della famiglia proprio per questo motivo. Secondo quanto emerso dalla ricerca condotta da Kaspersky a livello mondiale, dal titolo Pain in the neck, l’attività di aggiornamento coinvolge tutta la famiglia. La ricerca ha infatti lo scopo di indagare sulle abitudini degli utenti in merito all’aggiornamento dei dispositivi, e se più della metà degli intervistati, il 67%, concorda sul fatto che bambini e parenti anziani hanno bisogno di aiuto per aggiornare i dispositivi, questo spesso si traduce in un conflitto tra familiari.

Un’attività frustrante e fastidiosa

I dispositivi tecnologici sono oggetti di uso comune per le persone di tutte le età. I bambini li usano per guardare contenuti e giocare, mentre gli adulti li utilizzano per tenersi in contatto con amici e familiari in tutto il mondo. È importante ricordare, tuttavia, che tutti i dispositivi hanno bisogno di essere aggiornati tempestivamente affinché si possa garantire un livello elevato di sicurezza e prestazioni. Il 34% degli adulti italiani intervistati ritiene però che installare gli aggiornamenti sia un’attività frustrante e fastidiosa. Non è quindi una sorpresa che tra i membri della famiglia nascano discussioni su chi dovrebbe occuparsene.

Partner e figli i meno inclini a occuparsi dell’aggiornamento dei device

Secondo quanto emerso dalla ricerca, il 79% degli italiani si occupa di installare gli aggiornamenti su tutti dispositivi di casa, indipendentemente dal fatto che viva da solo o con la famiglia. Solo nel 10% dei casi ogni membro della famiglia aggiorna il proprio device in autonomia. Ma sono i partner (8%) e i figli (3%) i componenti della famiglia meno inclini a occuparsi degli aggiornamenti, quindi, tendono a delegare il compito a qualcun altro.

“Un affare di famiglia”

“Nelle famiglie moderne ogni componente utilizza un dispositivo tecnologico, ed è proprio per questo che installare gli aggiornamenti diventa un affare di famiglia – dichiara Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky -. Secondo quanto emerso dalla ricerca di Kaspersky, tutti i membri della famiglia sono coinvolti in qualche misura in questo processo. Più di un terzo (37%) degli intervistati litiga, addirittura, con i familiari sull’importanza degli aggiornamenti, il che probabilmente dimostra quanto gli utenti prendano seriamente la loro sicurezza online e quella dei propri cari. L’installazione tempestiva degli aggiornamenti – continua Lehn –  aiuta non solo ad accedere a nuove funzionalità e interfacce, ma anche a garantire un alto livello di sicurezza del dispositivo. Un dispositivo aggiornato mantiene al sicuro i dati personali di tutti i membri della famiglia e funziona in modo rapido e ottimale”.

Quanto vale la spesa nella Sanità digitale?

La pandemia ha spinto il digitale in tutti i settori, velocizzando la diffusione di strumenti digitali anche nel settore sanitario, accelerandone anche la conoscenza e l’uso da parte di cittadini, medici e strutture sanitarie nelle diverse fasi del percorso di cura. Tanto che la spesa per la Sanità digitale è cresciuta del 5% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore di 1,5 miliardi di euro, pari all’1,2% della spesa sanitaria pubblica, equivalenti a circa 25 euro per ogni cittadino. Si tratta di alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno online dal titolo Sanità Digitale oltre l’emergenza: più connessi per ripartire.

App per informarsi e monitorare la salute

Il digitale è un canale sempre più usato dai cittadini per cercare informazioni sanitarie: il 73% ha cercato in rete informazioni sui corretti stili di vita (rispetto al 60% del 2020) e il 43% si è informato online sulla campagna vaccinale. Un canale usato anche per la prevenzione e il monitoraggio della propria salute, con il 33% dei pazienti che usa app per controllare il proprio stile di vita e più di uno su cinque che le utilizza per ricordarsi di prendere un farmaco (22%) o per monitorare i parametri clinici (21%). Ma il processo di digitalizzazione del sistema sanitario è ancora frammentato e disomogeneo. Uno dei punti più critici sono le competenze digitali dei professionisti sanitari, ancora insufficienti per cavalcare i nuovi trend della rivoluzione tecnologica.

Il Fascicolo Sanitario Elettronico è ancora poco sfruttato

Il 60% dei medici specialisti e dei medici di medicina generale ha sufficienti competenze digitali di base (Digital Literacy), legate all’uso di strumenti digitali nella vita quotidiana, ma solo il 4% ha un livello soddisfacente in tutte le aree delle competenze digitali professionali (eHealth Competences). Un SSN più digitale e connesso, poi, non può prescindere da un’adeguata gestione e valorizzazione dei dati in sanità, ma l’asset principale per la raccolta dei dati sui pazienti, il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), è ancora poco sfruttato: solo il 38% della popolazione ne ha sentito parlare e solo il 12% è consapevole di averlo utilizzato.

Il PNRR e gli obiettivi per la Sanità del futuro

Di fatto il PNRR rappresenta una grande opportunità per le risorse messe in campo, pari a 7 miliardi per lo sviluppo di reti di prossimità, strutture e Telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale, e 8,63 miliardi per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del SSN. Ma anche perché traccia gli obiettivi da perseguire per costruire la Sanità del futuro, dallo sviluppo di cultura e competenze digitali nei medici e nei cittadini a una migliore governance delle iniziative digitali, oltre a una più diffusa collaborazione fra i vari attori del sistema sanitario.

Tech e Largo Consumo consolidano il trend positivo nel I trimestre 2021

Con un +28,5% nel primo trimestre del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020 la Tecnologia di consumo conferma il trend positivo che ha caratterizzato il settore nel corso dello scorso anno. I primi tre mesi del 2021 sono stati quindi decisamente positivi per il mercato italiano della Tecnologia di consumo. Secondo gli ultimi dati GfK i nuovi bisogni emersi con la pandemia stanno continuando a condizionare gli acquisti degli italiani, che continuano premiare in particolare il settore Tech e quello del Largo Consumo. Il mese che ha registrato la crescita maggiore è stato marzo, che ha registrato una crescita a valore del +66% anno su anno. Un trend che non stupisce, se pensiamo che marzo 2020 è stato il primo mese colpito dalla pandemia.

Una crescita generalizzata per tutti i comparti

Analizzando i segmenti che compongono la Tecnologia di consumo la crescita è generalizzata, con tutti i comparti positivi, compresi l’Home Comfort (+10,6%) e la Fotografia (+15,2%). Il settore con la crescita più sostenuta è ancora una volta l’IT Office (+41,4%), confermando un trend positivo iniziato lo scorso anno per effetto dello smart working e della Dad e che non sembra ancora esaurirsi. Continuano a crescere anche le vendite del Piccolo Elettrodomestico (+35%) e del Grande Elettrodomestico (+29,5%), e cresce del +29% anche l’Elettronica di consumo, con performance particolarmente positive per il segmento TV. Dopo i rallentamenti del 2020 torna a crescere a doppia cifra anche il comparto della Telefonia (+19%).

Mercato ancora positivo, ma alcuni trend rallentano

Il mercato della tecnologia è destinato a crescere almeno per tutto il primo semestre. Unica variabile da tenere in considerazione sarà lo “shortage” di prodotto e i problemi di logistica legati all’arrivo della merce, che stanno impattando tutti i settori. I dati GfK Consumer Panel evidenziano però come alcuni fenomeni emersi lo scorso anno stiano lentamente rallentando. Dopo un 2020 caratterizzato prevalentemente da riduzioni di frequenza di acquisto e carrelli decisamente più grandi (One Stop Shopping), si assiste negli ultimi mesi a una ripresa della frequenza di acquisto e un ritorno a carrelli di dimensione più normale. La situazione non è ancora tornata ai livelli precedente alla pandemia, ma per quanto riguarda le modalità di fare la spesa degli italiani il trend sembra prefigurare un lento ritorno alla normalità.

Crescono l’online e i discount

Dal punto di vista dei canali di vendita, il dati del GfK Consumer Panel confermano la crescita dell’online e dei discount: il primo raggiunge il 46,6% di penetrazione nel Largo Consumo Confezionato (+6,7% rispetto allo scorso anno), mentre il Discount raggiunge la penetrazione massima storica dell’82,4% (+1,3%). Si stabilizza invece la frequentazione dei negozi di prossimità, che erano cresciuti molto lo scorso anno, specie durante il primo lockdown, e diminuisce ancora la penetrazione degli Ipermercati (-3,5%), come già successo nel 2020.

 

Le lampade artistiche

Una delle nuove tendenze in fatto di arredamento e design è quella di scegliere delle splendide lampade artistiche per la propria casa. Parliamo quindi di oggetti di vero design che non hanno esclusivamente la funzione di fornire illuminazione ma che al contrario hanno un compito molto più artistico e creativo rispetto alle lampade tradizionali.

Questo è il motivo per il quale sono tantissime le persone che ad oggi cercano belle lampade creative che possano soddisfare le proprie necessità in fatto di arredamento e design, coniugandosi bene con gli arredi già presenti.

Complementi o opere d’arte?

Parliamo infatti di vere e proprie opere d’arte realizzate artigianalmente da chi è perfettamente in grado di coniugare arte e creatività, manualità e funzionalità, per dare vita a delle lampade che vengono immediatamente notate da chi le osserva, e dunque parliamo di complementi in grado di catturare l’attenzione.

Dietro ogni forma d’arte infatti, e questo chiaramente vale anche per le lampade artistiche, vi sono le sensazioni del momento dell’artista o artigiano che le ha create e tutta la sua espressività racchiusa nei materiali sapientemente lavorati. Ogni oggetto racchiude infatti una storia e la racconta a chi sa leggerla.

Sul sito di Bau Design puoi farti un’idea su quelle che sono le lampade artistiche più particolari e ricercate del momento, quelle che maggiormente possono rappresentare un valore per te e arricchire la tua zona living, così come le camere da letto o la cucina.

Dipende da te infatti individuare il punto in casa in cui posizionare la tua nuova lampada artistica, con la certezza che questa sarà in grado di valorizzare non solo il posto in cui deciderai di collocarla ma anche tutti gli arredi e i complementi attorno a sé.

Gli italiani e la ricerca di news sul Covid

Sono oltre 50 milioni gli italiani, pari al 99,4% degli adulti, ad avere cercato informazioni sulla pandemia. La ricerca è avvenuta da fonti diverse, sia formali sia informali, creando un vero e proprio palinsesto informativo personale in cui media tradizionali e social media hanno avuto uno spazio rilevante. A farla da padrone, sono stati ancora i media tradizionali, ma il web e i social sono sempre più utilizzati nella ricerca di informazioni sul Covid-19. A raccontarlo è il Rapporto Ital Communications-Censis, dal titolo Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione.

Media tradizionali, siti web ufficiali e social sul podio dell’informazione

Nella ricerca di informazioni sul coronavirus, al primo posto si confermano i media tradizionali, come televisione, radio, stampa, con 38 milioni di italiani che li hanno utilizzati.

Seguono i siti internet di fonte ufficiale, primi tra tutti quelli della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore della Sanità, a cui 26 milioni di italiani si sono rivolti per un’informazione attendibile su contagi, ospedalizzazioni, decessi.

Al terzo posto, circa 15 milioni di italiani hanno consultato i social network, mentre al medico di medicina generale si è rivolto invece un italiano su quattro, (12,6 milioni in valore assoluto), oltre 5,5 milioni hanno chiesto aiuto a un medico specialista e 4,5 milioni a un farmacista di fiducia.

L’eccesso di comunicazione veicola paura

Dalla potenza informativa dei media tradizionali e del web sono rimasti esclusi solo 3,7 milioni di italiani, il 7,4% del totale. Di questi, 3,4 milioni hanno consultato altre fonti, e 300mila sono rimasti completamente fuori da qualunque informazione. L’eccesso di flussi di informazione al tempo del Covid, a volte anche contraddittori fra loro, però non ha fatto bene. Anzi, la comunicazione confusa sul virus, invece di rendere consapevoli, ha veicolato paura. Secondo il Rapporto, a pensarlo è il 65% degli italiani. La quota cresce tra i soggetti più deboli, arrivando al 72,5% tra gli over 65enni, e al 79,7% tra chi ha al massimo la licenza media.

Come arginare le fake news?

Tra i più giovani sono molti coloro che ritengono che la comunicazione durante la pandemia sia stata sbagliata (14,1% per i 18-34enni e 3,7% per gli over 65enni, a fronte di una media del 10,6%), e addirittura pessima (14,6% tra i millennials). Per il 49,7% degli italiani, poi, la comunicazione sul Covid-19 è stata confusa, per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva e solo per il 13,9% equilibrata. Inoltre, 29 milioni di italiani hanno trovato su web e social notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate, riporta Ansa.  Per arginare la proliferazione delle fake news il 52,2% degli italiani pone l’accento sull’obbligo da parte delle piattaforme di rimuovere le false notizie, mentre il 41,5% ritiene che i social media debbano attivare dei sistemi di controllo (fact checking). Prioritario, poi, avviare campagne di sensibilizzazione e prevenzione sull’uso consapevole dei social.